6 febbraio 2022
CUSTODIRE OGNI VITA“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden,perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).
Al
di là di ogni illusione di onnipotenza e autosufficienza, la pandemia
ha messo in luce numerose fragilità a livello personale, comunitario e
sociale. Non si è trattato quasi mai di fenomeni nuovi; ne emerge però
con rinnovata consapevolezza l’evidenza che la vita ha bisogno di essere
custodita. Abbiamo capito che nessuno può bastare a sé stesso: “La
lezione della recente pandemia, se vogliamo essere onesti, è la
consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa
barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che
nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme”
(Papa Francesco, Omelia, 20 ottobre 2020). Ciascuno ha bisogno che
qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal
male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione.
Questo
è vero per tutti, ma riguarda in maniera particolare le categorie più
deboli, che nella pandemia hanno sofferto di più e che porteranno più a
lungo di altre il peso delle conseguenze che tale fenomeno sta
comportando.
Il
nostro pensiero va innanzitutto alle nuove generazioni e agli anziani.
Le prime, pur risultando tra quelle meno colpite dal virus, hanno subito
importanti contraccolpi psicologici, con l’aumento esponenziale di
diversi disturbi della crescita; molti adolescenti e giovani, inoltre,
non riescono tuttora a guardare con fiducia al proprio futuro. Anche le
giovani famiglie hanno avuto ripercussioni negative dalla crisi
pandemica, come dimostra l’ulteriore picco della denatalità raggiunto
nel 2020-2021, segno evidente di crescente incertezza. Tra le persone
anziane, vittime in gran numero del Covid-19, non poche si trovano
ancora oggi in una condizione di solitudine e paura, faticando a
ritrovare motivazioni ed energie per uscire di casa e ristabilire
relazioni aperte con gli altri. Quelle poi che vivono una situazione di
infermità subiscono un isolamento anche maggiore, nel quale diventa più
difficile affrontare con serenità la vecchiaia. Nelle strutture
residenziali le precauzioni adottate per preservare gli ospiti dal
contagio hanno comportato notevoli limitazioni alle relazioni, che solo
ora si vanno progressivamente ripristinando.
Anche
le fragilità sociali sono state acuite, con l’aumento delle famiglie –
specialmente giovani e numerose – in situazione di povertà assoluta,
della disoccupazione e del precariato, della conflittualità domestica.
Il Rapporto 2021 di Caritas italiana ha rilevato quasi mezzo milione di
nuovi poveri, tra cui emergono donne e giovani, e la presenza di inedite
forme di disagio, non tutte legate a fattori economici.
Se
poi il nostro sguardo si allarga, non possiamo fare a meno di notare
che, come sempre accade, le conseguenze della pandemia sono ancora più
gravi nei popoli poveri, ancora assai lontani dal livello di profilassi
raggiunto nei Paesi ricchi grazie alla vaccinazione di massa.
Dinanzi
a tale situazione, Papa Francesco ci ha offerto San Giuseppe come
modello di coloro che si impegnano nel custodire la vita: “Tutti possono
trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della
presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e
una guida nei momenti di difficoltà” (Patris Corde). Nelle diverse
circostanze della sua vicenda familiare, egli costantemente e in molti
modi si prende cura delle persone che ha intorno, in obbedienza al
volere di Dio. Pur rimanendo nell’ombra, svolge un’azione decisiva nella
storia della salvezza, tanto da essere invocato come custode e patrono
della Chiesa.
Sin
dai primi giorni della pandemia moltissime persone si sono impegnate a
custodire ogni vita, sia nell’esercizio della professione, sia nelle
diverse espressioni del volontariato, sia nelle forme semplici del
vicinato solidale. Alcuni hanno pagato un prezzo molto alto per la loro
generosa dedizione. A tutti va la nostra gratitudine e il nostro
incoraggiamento: sono loro la parte migliore della Chiesa e del Paese; a
loro è legata la speranza di una ripartenza che ci renda davvero
migliori.
Non
sono mancate, tuttavia, manifestazioni di egoismo, indifferenza e
irresponsabilità, caratterizzate spesso da una malintesa affermazione di
libertà e da una distorta concezione dei diritti. Molto spesso si è
trattato di persone comprensibilmente impaurite e confuse, anch’esse in
fondo vittime della pandemia; in altri casi, però, tali comportamenti e
discorsi hanno espresso una visione della persona umana e dei rapporti
sociali assai lontana dal Vangelo e dallo spirito della Costituzione.
Anche la riaffermazione del “diritto all’aborto” e la prospettiva di un
referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente vanno nella
medesima direzione. “Senza voler entrare nelle importanti questioni
giuridiche implicate, è necessario ribadire che non vi è espressione di
compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione
antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza
né le relazioni interpersonali. […] Chi soffre va accompagnato e aiutato
a ritrovare ragioni di vita; occorre chiedere l’applicazione della
legge sulle cure palliative e la terapia del dolore” (Card. G. Bassetti,
Introduzione ai lavori del Consiglio Episcopale Permanente, 27
settembre 2021). Il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita,
terminale o nascente, sia adeguatamente custodita. Mettere termine a
un’esistenza non è mai una vittoria, né della libertà, né dell’umanità,
né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate
sole con i loro problemi e la loro disperazione.
La
risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della
custodia. Come comunità cristiana facciamo continuamente l’esperienza
che quando una persona è accolta, accompagnata, sostenuta, incoraggiata,
ogni problema può essere superato o comunque fronteggiato con coraggio e
speranza.
“Custodiamo
Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il
creato! La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani,
ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda
tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci
viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco
d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente
in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni
persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che
sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È
l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono
reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo
anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità
le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel
rispetto e nel bene” (Papa Francesco, Omelia, 19 marzo 2013).
Le
persone, le famiglie, le comunità e le istituzioni non si sottraggano a
questo compito, imboccando ipocrite scorciatoie, ma si impegnino sempre
più seriamente a custodire ogni vita. Potremo così affermare che la
lezione della pandemia non sarà andata sprecata.
Roma, 28 settembre 2021IL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTEDELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
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