La fede, insieme con la speranza e la carità, ci viene donata con la grazia santificante.
La grazia santificante, che ordinariamente riceviamo con il sacramento del Battesimo ci eleva in uno stato di santità e di grazia, ci conferisce una partecipazione alla natura di Dio, è in noi inizio, principio della gloria futura, e rende potenzialmente feconda la terra della nostra umanità. Ci offre il potere di essere figli nel Figlio, (cf Gv 12) ci dona cioè una vera vita nuova, la vita di grazia, che viene chiamata anche vita soprannaturale. Questa nuova vita ci dona occhi nuovi, uno sguardo nuovo attraverso il dono della fede. L’oggetto immediato della fede in primo luogo è Dio, insieme alle verità rivelate nella Sacra Scrittura, e approfondite nel corso della Tradizione e nel Magistero della Chiesa.
In secondo luogo tutta la creazione visibile e invisibile, in riferimento a Dio. La fede ci dona un nuovo sapere, una conoscenza che illumina il nostro intelletto: sono raggi di luce del Sole Divino che è la Somma Verità, che nella Sua divina Bontà si fa conoscere a noi. Apprendiamo questa luce divina nel catechismo e la professiamo nel Credo. Santa Caterina da Siena chiama l’intelletto, cioè la nostra capacità di intendere, occhio: l’occhio dell’intelletto. Infatti senza la luce dell’intelletto non potremmo conoscere e la nostra mente sarebbe nel buio, saremmo come gli animali che hanno solo una conoscenza sensibile e non intellettuale. La fede, secondo santa Caterina, è la pupilla dell’occhio dell’intelletto, che ci fa conoscere Dio: la prima Verità. Ci fa inoltre vedere tutte le cose create, dal punto di vista di Dio.
Fede e ragione sono due luci che Dio ci ha donato, e che hanno bisogno l’una dell’altra, perché la ragione rende la fede sempre più intellegibile e la fede dona alla ragione la luce delle verità ultime. Queste verità ultime sono le grandi verità della fede e sono la meta alla quale la ragione, per sua natura, tende, ma dove da sola, non arriverebbe mai. La ragione creata non potrà mai comprendere fino in fondo la Verità increata, infatti esclama sant’Agostino: “se tu lo com-prendi, non è Dio!!” Anche l’uomo stesso infondo è un mistero a se stesso. Per conoscere il mistero del nostro esistere abbiamo bisogno della fede.
Il Papa nell’Enciclica Lumen Fidei scrive: “La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo.” È Cristo che rivela l’uomo a se stesso, solo nel Verbo incarnato l’uomo trova il senso del suo esistere, la sua vocazione e la sua meta gloriosa. Anche per conoscere nella loro vera essenza le cose create, abbiamo bisogno della luce della fede. L’occhio dell’intelletto ci fa conoscere le cose della terra, ma per vederle nella loro ragione ultima, abbiamo bisogno della pupilla della fede, altrimenti le vediamo solo nella loro dimensione naturale materiale. Questo sguardo nuovo su di noi e su tutto il creato, ci è donato dallo Spirito Santo attraverso i suoi 7 doni e in particolare i doni della scienza, della sapienza e dell’intelletto. Anche se non sempre e non tutti sono mossi da questi doni dello Spirito, tuttavia siamo esortati ad agire sempre secondo le conclusioni etiche e morali che derivano da questa verità di fede. Il CCC al numero 159 chiarisce la relazione che la fede ha con la scienza e dice: "Anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione… Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avveda, viene come condotto dalla mano di Dio." Le contestazioni che nei nostri giorni vengono fatte agli insegnamenti della Chiesa proclamate nelle Encicliche come la Veritatis Splendor, la Fides et Ratio, e la Humanae Vitae, e altre ancora, sono segni evidenti della superbia intellettuale, che è il nemico maggiore della fede. Con la pupilla della fede, l’occhio dell’intelletto vede molto più lontano e più profondo nello spazio e nel tempo. Dato che lo sguardo della fede si riferisce principalmente a Dio e al mondo di Dio che quaggiù ancora non vediamo, per noi viandanti sulla terra, la fede è uno sguardo all’oscuro e pertanto è incompatibile con la Visione Beatifica del Paradiso. Nel Paradiso non ci sarà più bisogno della fede, perché vedremmo Dio così come egli è, faccia a faccia. Utilizzando una metafora, possiamo paragonare la luce del sole con la luce dell’intelletto e il buio della notte con lo sguardo della fede. Chiedendoci quando vediamo più lontano, se di giorno o di notte, la risposta in un primo momento potrebbe stupirci. Mentre con la luce del giorno, della sola ragione, vediamo il mondo visibile fino al limite dell’orizzonte naturale, con la luce della fede, nonostante sia uno sguardo nell’oscurità della notte, possiamo contemplare le stelle del firmamento. È uno sguardo che allarga la nostra visione ad un orizzonte infinitamente maggiore. Le stelle rappresentano i vari misteri della nostra fede che ci danno una dimensione cosmica della nostra esistenza, dell’uomo nuovo in Cristo. E anche se delle volte le nuvole possono impedirci di vedere le stelle, sappiamo, appunto per il dono della fede, per la testimonianza delle Sacre Scritture, per le dichiarazioni di testimoni autorevoli, in primis la santa Madre Chiesa e insieme alla propria esperienza, che le stelle ci sono, anche nella notte della prova. Uno scienziato invece che si lascia prendere dall’orgoglio per il suo grande sapere e per le sue capacità intellettuali e accetta esclusivamente quello che riesce a comprendere con la ragione, è paragonabile ad un uomo che vive chiuso nel suo studio e riconosce come fonti di luce solamente quella della lampada del suo soffitto, figura della sua ragione limitata e quella della lampada da tavola, segno del sapere che ha acquisito con le sue ricerche. Queste conoscenze sono evidentemente molto utili e preziose per la nostra vita terrena. Ma se questo scienziato accetta solo queste luci e non esce mai dalle sicurezze della sua casa, delle sue convinzioni, non potrà mai conoscere e contemplare le meraviglie del firmamento stellato. E la triste conseguenza è che non potrà mai sorgere nel suo cuore la stella del mattino (cf 2 Pietro 1,19), perché nella sua deplorevole superficialità, accettando unicamente le convinzioni della sua testa, si preclude la conoscenza delle meravigliose profondità del suo cuore, cioè la presenza di Cristo in noi, speranza della gloria (cf Col 1,27).
Nel Vangelo c’è un brano che ci può aiutare ad illustrare la differenza enorme tra la vista naturale e lo sguardo di fede, e che ci svela anche a quale dei due sguardi noi solitamente diamo più importanza. Si tratta del racconto della guarigione di Bartimeo che potremmo intitolare: “Lo sguardo di fede di Bartimeo guarisce la cecità del popolo”. Il giorno in cui Gesù, a Cesarea di Filippo, aveva fatto ai discepoli la domanda capitale relativa alla sua vera identità e Pietro in quell’occasione, ispirato da Dio, proferiva la sua bellissima professione di fede, la gente, invece, credeva ancora che Gesù fosse Elia o Geremia o uno dei profeti. In quella circostanza Gesù aveva raccomandato ai discepoli di non rivelare a nessuno la sua identità. Ora, salendo a Gerusalemme, era necessario che il popolo che lo seguiva lo riconoscesse come il Messia e lo acclamasse Figlio di Davide, affinché si adempissero le Scritture, altrimenti, come Gesù stesso dirà di seguito ai farisei, le pietre avrebbero gridato questa verità (cf Lc 19,40). La Divina Provvidenza si servì del cieco Bartimeo che con gli occhi della fede aveva riconosciuto in Gesù, il Messia, il Figlio di Davide, e gridava la sua fede. Coloro che lo scongiuravano di tacere, erano evidentemente tra l’altro, imbarazzati per quest’acclamazione, infatti il titolo ‘Figlio di Davide’ era riservato al Messia. Per la sua fede salda che non si lasciava intimidire, infine ottenne il miracolo della guarigione fisica dei suoi occhi ma soprattutto divenne occasione della guarigione, molto più importante, “degli occhi” della fede del popolo. Infatti arrivati a Gerusalemme tutto il popolo osannava e acclamava Gesù: Figlio di Davide.
Mentre noi giustamente ringraziamo Dio per l’immenso dono della vista attraverso gli occhi del corpo, dovremmo ringraziare infinitamente di più per quello della fede che ci apre alla visione della vita eterna.
Oggi abbiamo riflettuto come la fede sia la sorgente della conoscenza di Dio e abbiamo accostato la luce della fede alla luce dell'intelletto considerandone la loro feconda interdipendenza.
La prossima volta rifletteremmo sulla fede mettendoci dal punto di vista di chi crede, e scopriremo come, scendendo nel cuore, essa ci conduca alla relazione sempre più intima e figliale con Dio.
Per ora ti auguro un buon cammino e che Dio benedica tutti i tuoi passi
Padre Max
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