Jelena Vasilj: il valore dell'attesa 15/09/2003
Nella vita attendiamo soprattutto che essa si realizzi e, se siamo
generosi, attendiamo anche la realizzazione della vita altrui. Per i
genitori questo consiste nella cooperazione diretta con Dio nella
creazione di una vita, mentre per i consacrati nel partorire un’altra
volta la creatura alla vita eterna. Pensiamo a S. Pio: quanta sofferenza
per la salvezza delle anime; o a madre Teresa, che come motto del
proprio apostolato ha preso le stesse parole di Gesù sulla croce: Ho
sete. Delle anime, naturalmente. Tutta la creazione è dunque in attesa
della vita, della quale S. Giovanni ci dice che è Dio stesso (Cf. Gv
1,4). È una vita che ora non possediamo in pienezza e la cui
realizzazione aspettiamo nella vita futura. Di essa l'apostolo Paolo
scrive: Vediamo ora come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora
vedremo faccia a faccia. (1Cor 13,12). Ma ci chiediamo perché l’attesa?
Perché il Signore si fa attendere, o meglio, perché il Signore ci priva
di questa visione nascondendosi? È chiaro che la risposta sta dalla
nostra parte, dato che Dio vuole prepararci all'incontro con Lui.
Ricordo alcune parole di S. Ignazio d’Antiochia molto impressionanti.
Martire ormai cosciente del suo futuro martirio, diceva: "Voglio essere
tritato e macinato come il grano", ovvero: anch'io voglio morire per
diventare Corpo di Cristo. Dunque la risposta, esigente ma anche
semplice, è la seguente: dobbiamo essere preparati per la vita eterna. È
come ci prepara il Signore? Togliendosi di mezzo... Visto che noi non
siamo ancora pronti a godere interamente del bene che è Lui, Egli si fa
da parte per suscitare in noi il desidero di possederLo. Un desiderio
che ci prepara al futuro possesso di Dio. Un desiderio che, come dice s.
Agostino, è il frutto della fede, perché ciò che è veduto è posseduto e
quindi non è più desiderato: "Vada dunque il Signore a preparare il
posto; vada per sottrarsi al nostro sguardo, si nasconda per essere
creduto. Viene preparato il posto se si vive di fede. Dalla fede nasce
il desiderio, il desiderio prepara al possesso, poiché la preparazione
della celeste dimora consiste nel desiderio, frutto dell'amore"
(Io.eu.tr. 68,3). Agostino ci spiega in che consiste questo frutto: "…a
questo frutto della contemplazione è ordinato tutto l'impegno
dell'azione; …viene cercato per se stesso, e non è subordinato ad altro.
…Esso, dunque, rappresenta il fine che soddisfa tutte le nostre
aspirazioni. Sarà perciò un fine eterno, perché non ci potrà bastare che
un fine senza fine. … È precisamente di questa gioia, che sazierà ogni
nostro desiderio, che il Signore ha voluto parlarci dicendo: La vostra
gioia nessuno ve la potrà rapire" (Io.eu.tr. 101,5).
È molto importante sapere attendere questo frutto. I santi infatti si
distinguono dalla capacità di sapere attendere, di credere. D'altronde
potremmo dire che non sapere attendere è la malattia della nostra
società. Attendiamo quando ci viene imposto d’attendere e spesso, invece
di attendere, pretendiamo causando così numerose e talvolta atroci
sofferenze a chi ci sta accanto. Direi che questa è la dinamica del
peccato dove l’uomo, quasi indotto ad agire, non è capace di posporre il
suo desiderio del possesso. Veniamo spinti quasi da una fretta ad
agire, come Gesù stesso ci fa capire quando dice a Giuda: Quello che
devi fare, fallo subito (Gv 13,27). L’attesa invece di possedere il
frutto del desiderio spesso provoca lacrime, proprio come dice il Salmo:
Pane sono diventate per me le mie lacrime, giorno e notte, quando
dicono a me tutto il giorno: "Dov'è il tuo Dio?" (Sal 42,4). L'attesa
provoca gemiti e vere doglie spirituali… Questo che è il frutto del suo
travaglio, la Chiesa lo partorisce al presente nel desiderio, allora lo
partorirà nella visione; ora gemendo, allora esultando; ora pregando,
allora lodando Dio (Ibid). Sono infatti, le sofferenze che ci preparano
ad accogliere Cristo; esse allargano la nostra anima e la rendono capace
di accogliere la vita. Perciò abbracciati alla croce arriviamo al
totale godimento della vita eterna, come dice s. Agostino: "È come se
uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede
dove arrivare, ma non ha come arrivarvi… Ora, affinché avessimo anche
il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare.
E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare.
Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è
portato dalla croce di Cristo. Anche se uno ha gli occhi malati, può
attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la
meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.
(Io.eu.tr. 2,2).
Fonte: medjugorje.altervista.org
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