Il 17 gennaio è la festa di Sant’Antonio Abate e la notte in cui
secondo la tradizione gli animali parlano. Ma non solo, è la notte dei
falò che abbraccia il sacro e il profano.
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Sant’Antonio Abate è il beato del fuoco, protettore del bestiame e
dei campi. Egiziano di nascita e morto nel deserto della Tebaide il 17
gennaio del 357, il Santo viene raffigurato con un bastone, il fuoco ai
suoi piedi, un Tau e un maiale accanto a lui.
E’ proprio il fuoco l’elemento che più di tutti, oggi, viene
utilizzato per ricordare San’Antonio. In molte zone d’Italia si
accendono falò che simboleggiano la volontà di abbandonare tutto ciò che
appartiene ai mesi passati e di rinnovarsi a partire dal primo mese del
nuovo anno.
I fuochi purificatori possono essere accompagnati da processioni e
celebrazioni che spesso richiamano costumi ottocenteschi. Simbolicamente
il falò ha lo scopo magico di riscaldare la terra e invogliare il
ritorno della primavera, una visione chiaramente leggendaria che viene
tramandata in molte città dove proprio il 17 gennaio si benedicono gli
animali e si preparano cataste di legna che si accendono poi al
tramonto.
Sant’Antonio Abate e la leggenda del fuoco
Ma perché si usa accendere i falò? La tradizione si lega alla leggenda riportata in Fiabe Italiane di Italo Calvino. Eccola:
Antonio si alzò all’alba, con l’intenzione di aiutare gli uomini che
quel fine settimana erano venuti ad incontrarlo presso la grotta.
Nel mondo mancava il fuoco e gli uomini, intirizziti dal freddo, si
erano rivolti a lui e lo avevano supplicato di procurarne almeno una
scintilla per ciascuno o anche una fiammella sola (se proprio non
riusciva a fare di meglio!), ché tanto ci avrebbero pensato loro a
spartirselo.
Per prima cosa Antonio svegliò l’inseparabile maiale con il quale condivideva una vita di solitudine:
«Maialino, amico mio… lesto alzati, non restare qui a poltrire!
È già ora, il sole sorge. Prepariamoci a partire!»
L’animale, che dormiva come un ghiro nell’angolo meglio riparato della
grotta, con un ronfo si girò dall’altra parte, cosicché Antonio fu
costretto a scrollarlo.« Maialinooo, non mi senti? Sono già le cinque e
venti!» gridò più forte. «Con l’aiuto del buon Dio, dobbiam correre
all’Inferno: troveremo lì del fuoco da donare ai miei fratelli.
Ma ci pensi ai poverini? Hanno freddo, sono al buio… mangian crudo: non accendono i fornelli!»
La parola fornelli sortì un effetto immediato. Maialino – che insieme a
un formidabile appetito aveva anche un desiderio, quello di diventare un
cuoco famoso (già si vedeva con tanto di cappello e di grembiule
inamidati!) – spalancò gli occhietti celestini, si rizzò sulle quattro
zampe e grugnì:
«Oink, oink, se l’Inferno è il solo luogo dove usano del fuoco,
per te che sei un santo e per me che ti sto accanto prenderne un po’ sarà un gioco!
Ebbene, perché non ci sbrighiamo, caro Antonio?
Con l’aiuto del buon Dio, raggiungiamo la casa del demonio!».
Detto fatto, Maialino si pettinò il ciuffo, come faceva sempre
quando andava a passeggio, Antonio prese il suo bastone e, insieme, i
due si incamminarono in direzione dell’Inferno.
Cammina, cammina, cammina (e con l’aiuto del buon Dio!) Antonio e il
maiale arrivarono ben presto alla porta dell’Inferno, dietro la quale
stava di guardia una diavolessa baffuta che puzzava…di zolfo (e di che
altro dovrebbero puzzare i diavoli?).
La porta era chiusa, così Antonio bussò.
«Ehi, di casa!» chiamò. «Fuori si gela, ci fate entrare?
Siamo in due, ci vogliamo riscaldare!»
Sbirciando dallo spioncino, la diavolessa aveva riconosciuto il santo. Così socchiuse la porta e rispose:
«All’Inferno non c’è posto per sant’Antonio, l’eremita!
Come hai osato farti avanti? Mi credi forse rimbambita?»
Quindi, adocchiando il maialino e pensando che avrebbe potuto
nasconderlo e poi cucinarlo a puntino per sgranocchiarselo in santa
pace, aggiunse:
«Il porcello invece sì, quello posso farlo entrare…
dargli un bel lasciapassare.
Vieni dentro, maialetto,
va’ a infilarti sotto il mio letto!».
Maialino non si fece ripetere l’invito. Strizzò l’occhietto a
sant’Antonio e s’intrufolò nell’Inferno attraverso la porta socchiusa.
Una volta dentro, non solo non si rifugiò sotto il letto della
diavolessa portinaia, ma cominciò a scorrazzare per ogni stanzone, su e
giù per le scale, persino nell’ascensore che portava ai piani più bassi.
E ovunque creava scompiglio, distruggeva ogni cosa. Soprattutto in
cucina, dove tra tegami scoperchiati, piatti rotti, boccali rovesciati,
mestoloni e tridenti buttati per aria, dimostrò che nessun diavolo
sarebbe riuscito facilmente ad acciuffarlo e tantomeno a metterlo in
pentola.
Quando non ci fu neppure un angolino dell’Inferno che il porcellino
non avesse messo a soqquadro, Barbarossa, il capo dei diavoli, ordinò
alla diavolessa portinaia di richiamare il santo e di farlo pure entrare
(alla faccia di tutte le regole dell’Inferno!)… che venisse a
riprenderselo di persona il suo porcello, perché lui non ne poteva più
di quel macello!
Così anche Antonio varcò la soglia dell’Inferno e, dopo che ebbe
quietato il porcellino con un semplice tocco del bastone, finse di voler
approfittare, almeno per un momento, di quel bel calduccio infernale.
«Prima di tornarcene a casa io e Maialino ci fermiamo a riscaldar le ossa.
Tu lo permetti, vero, diavolo Barbarossa?» domandò infatti al diavolo capo.
Con un’alzata di spalle Barbarossa acconsentì alla richiesta e tornò alle proprie faccende.
Allora Antonio si sedette sopra un sacco di cenere posto all’ingresso di
un lungo corridoio di passaggio e, via via che un diavolo passava,
pum!…giù una bastonata sul groppone a uno, giù una botta secca sulla
zucca vuota all’altro. Per non parlare degli sgambetti, che col bastone
riuscivano particolarmente bene!
La cosa andò avanti per un po’, finché un diavolo infuriato (a lui erano
toccati tutti e tre i trattamenti: bastonata sul groppone, bastonata
sulla zucca vuota e sgambetto) strappò il bastone delle mani del santo e
lo gettò con la punta tra le fiamme di un falò.
Tanto bastò, perché il maialino, che fino a un attimo prima era
rimasto accucciato ai piedi del santo, ricominciasse a correre di qua e
di là, scombinando la legna accatastata, soffocando le torce accese,
spuntando i forconi.
«Oh, si sta agitando ancora, lo devo calmare!» esclamò Antonio, con
l’aria più serafica di questa terra. «Ma senza bastone come lo posso
fermare?».
Ormai fuori di sé per la rabbia, Barbarossa recuperò il bastone dalle fiamme e lo riconsegnò al legittimo proprietario.
Dopodiché, non prima che Antonio avesse toccato nuovamente col bastone il suo maiale, ringhiò furibondo:
«Grrr, lo hai calmato finalmente
questo porcello impertinente!
Ah, per le corna di Belzebù,
non intendo ospitarvi un minuto di più!
«Pustola, Zampastorta…» tuonò quindi, in direzione di due piccoli
diavoli, il cui aspetto corrispondeva alla perfezione al loro nome,
«accompagnate costoro fuori da casa mia
e assicuratevi che non ritrovino più la via!».
Con grande sollievo di tutti i diavoli (ad eccezione forse della
diavolessa portinaia, che era rimasta a bocca asciutta), Antonio e il
maialino interruppero così il loro soggiorno all’Inferno… non senza aver
ottenuto ciò che il santo voleva, però. Infatti, all’insaputa di
Barbarossa e dei suoi sottoposti, Antonio un po’ di fuoco riuscì a
portarselo via. Dove? Dentro la punta del suo bastone! Insomma, il fuoco
rubato era la scintilla appiccata al bastone quando uno dei diavoli
aveva tentato di incendiarlo, che ora ardeva vivace seppure invisibile.
Grazie a quell’unica scintilla, sant’Antonio alimentò e propagò
sulla terra il fuoco, dono prezioso e indispensabile per gli uomini.
Questa bellissima leggenda oggi rivive nei falò che vengono
organizzati in molte città italiane, cerca l’evento più vicino a te, sul
sito del tuo comune.
Dominella Trunfio
Signori, mi e' molto simpatico questo Signore. (M.S.) E' uno dei pochi veri politici, o l'unico, che puo' con il nulla, ed enormi debiti nazionali, garantirci' di essere, conti e fatti alla mano, un genio sociopoitico dei nostri tempi. Avra' la modalita' di amministrazione governativa, mai vista prima din 70 di governi, di riuscire ad eleminare la precaria, critica situazione di stabilita' socioeconomica in cui versa il Paese. Sara' capace dell' impossibile e riportara' la Nazione ad avere nuovamente una fiorente economia con produzione industriale e scienza e tecnologia di punta internazionale. Tutto l'insieme di questo miracolo diverra' realta' quotidiana nel giro di due o tre anni. Nuovamente ci sara' dato di vivere in una Nazione in Ordine, Leggi, Onesta' sociale, Infrasrutture Statali efficenti e funzionanti, Scuole ed Universita' di prim' ordine, Fisco senza furbi, non piu' Mafia e Criminalita' Organizzata, Dolce Vita, Pace, Prosperita' e un roseo futuro per i giovani. "Gli Dei sono propizi agl' Arditi". (Dannunzio) Cordiali saluti, Paul Candiago (candiago.p@bmts.com)
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