mercoledì 10 luglio 2019

Perchè Gesù ha cambiato il nome ai suoi Discepoli- Ecco la spiegazione

«I nomi dei dodici apostoli sono...».
Gesù chiama per nome.
Appartiene all'esperienza di ognuno di noi essere chiamati per nome, ma ci sono delle occasioni in cui sentire pronunciare il nostro nome acquista un valore particolare, anche a seconda di chi ci chiama. I nostri genitori, le persone che amiamo, gli amici, i colleghi.
Gesù ci chiama per nome perché desidera stringere con noi un rapporto privilegiato, speciale, familiare. Nessuna distanza, nessun formalismo ma un rapporto basato sull'amore, sull'autenticità, sulla compassione.
Gesù ci chiama per nome perché intende entrare nella nostra storia, nella storia che è racchiusa dietro ogni nome, ogni uomo. Una storia a cui vuole dare un senso pieno, affinché il nostro nome resti scolpito nei cieli così come è scolpito nel cuore di Dio. Nessun nome dovrebbe essere dimenticato.
In alcuni casi Gesù arriva anche a cambiare il nome, per indicare la nuova realtà della persona dopo l'incontro con Lui. Lo fa con Pietro, lo fa con tutti noi. Abbiamo sempre una possibilità per cambiare vita, per ridare un nuovo significato alla nostra esistenza, al nostro nome. Un nome forse è difficile farselo, ma un cattivo nome è ancora più difficile toglierselo. Per Dio non è così. Tutti possiamo cambiare nome all'anagrafe del suo cuore se siamo disposti, però, a cambiare anche la nostra vita.

Buon cammino, insieme.


Vangelo di oggi :
In quel tempo, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino». 






 Meditazione
Bellissima questa convocazione. Come un allenatore di calcio convoca i calciatori per affrontare una partita o un torneo, così Gesù convoca i discepoli per la missione alle pecore perdute della casa di Israele. Ma come avviene questa convocazione e cosa produce nei discepoli?
La convocazione avviene per una chiamata. Gesù li chiama a sé. Con qualcuno, tipo Simone, Gesù si sente in diritto addirittura di cambiargli nome. Il dare un nome, il cambiare il nome, il chiamare a sé dice una cosa semplicissima: Gesù possiede questi discepoli. Ne diventa in un certo senso proprietario. E infatti Il Vangelo cita: "i suoi dodici discepoli". I suoi. Ora quel discepoli fanno parte non tanto di una squadra nuova, ma appartengono all’allenatore stesso. Cosa produce questa convocazione nei discepoli? Appunto un cambio di appartenenza. Ora appartengono a Gesù. Sapete perché ancora oggi alcuni ordini religiosi chiedono il cambio di nome quando si fa la professione solenne? Proprio per questo motivo: per visibilizzare questo passaggio di proprietà. E sapete anche che il passaggio di proprietà ha dei costi. Il costo in questo caso è il lasciar tutto.



Luigi Maria Epicoco :
 “Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità”. C’è un’efficacia che deriva dalla chiamata. Ma la chiamata a cui mi riferisco è legata soprattutto all’essere cristiani. Nessuno può farsi cristiano da solo. Nessuno può darsi la fede da solo. Nessuno può prendere per primo iniziativa con Cristo. Quando ci accorgiamo di Lui, Lui si era già da tempo accorto di noi. Quando decidiamo di amarlo, Lui ci ha già amati per primo. La fede, e la chiamata alla fede è un dono. Ma è un dono che porta con sé un effetto, una conseguenza. È il potere di mettersi contro il male e di portare guarigione nella vita delle persone. Perché nessuno può viversi la fede solo come un fatto personale individualistico. La fede paradossalmente porta beneficio soprattutto a chi ci sta intorno più ancora che a noi. È un dettaglio che non dovremmo mai dimenticare. E accanto a questo non dobbiamo nemmeno dimenticare che questa chiamata non coinvolge anonimamente dei soldati per impiegarli alla grande causa del regno, ma chiama per nome ognuno, con la propria storia, la propria speranza, i propri difetti. Ecco perché il Vangelo indugia nel dirci i nomi di tutti gli apostoli. “Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino”. Infatti non c’è terra di missione più bisognosa e difficile se non quella di chi ci sta vicino. I lontani ci allettano di più, ma è con i vicini che innanzitutto abbiamo una responsabilità. È innanzitutto a loro che Gesù ci manda, e ci chiede di predicare soprattutto una vicinanza più che una teoria. “Il regno è vicino”. La predica che i vicini ascoltano è fatta di prossimità non di parole. Possiamo far giungere loro la buona notizia del Vangelo soprattutto cercando di esserci nella loro vita.
(Mt 10,1-7)

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