mercoledì 19 giugno 2019
Vorrei testimoniare la mia nuova nascita a Medjugorje. - Nella scuola della Madonna
Mi chiamo Natalia, sono nata a Mosca, in Unione Sovietica, e sono stata battezzata nella chiesa ortodossa. Sono cresciuta in Ucraina e mi sono laureata presso l’Università di San Pietroburgo in regia cinematografica. Quando sono venuta per la prima volta a Medjugorje, esattamente tre anni fa, non sapevo perché lo stessi facendo. Il viaggio è durato tre giorni, cosa che dà molto tempo per pensare.
Siccome sono sempre in viaggio da qualche parte in altre città, in altri paesi, in altre terre fin dall’inizio del viaggio mi ero chiesta cosa stessi cercando dalla vita. A venticinque anni avevo già cambiato circa venticinque luoghi di residenza... Anche se non avevo scopi definiti, nella mia vita ci sono stati dei motivi concreti che mi hanno portata a Medjugorje. Mia madre è cambiata Tre anni prima della mia venuta a Medjugorje, era stata qui mia madre, malata di tumore. In precedenza, era stata nel Caucaso con aiuti umanitari. Lei aveva cresciuto quattro bambini, scriveva delle poesie meravigliose ed aiutava le persone. Non potevo credere che stesse andando in un posto in cui si diceva apparisse la Madre di Dio. Penso che proprio allora si trovasse in uno degli stadi più gravi della malattia. Doveva sot-toporsi alla chemioterapia ogni settimana e, dal momento che il viaggio di andata e ritorno dura sei giorni interi, ha potuto stare qui solo qualche giorno. Un gruppo di preghiera, che si occupa di malati di cancro, le aveva dato la possibilità di venire gratuitamente. Questo gruppo di preghiera è stato fondato da una donna guarita da questa malattia a Medjugorje. Mamma mi mostrava alcune immaginette della Madonna (per me è difficile descrivere quello che sentivo, perché ero abituata alle belle icone ortodosse) e, quando mi disse che sarebbe andata in un posto in cui la Madonna appariva su una collina, ciò fu per me una completa astrazione. Quando mia madre tornò, le chiesi in modo scettico: “E allora, hai visto la Madonna?“ Pensavo che si sarebbe arrabbiata, o che si sarebbe giustificata con espressioni come: “Figlia, si tratta di una allegoria!“ Ma lei, come un bambino semplice ed innocente, ha cominciato a raccontarmi che era stata presente ad una apparizione. Le persone si erano riunite intorno ad una croce in preghiera ed una donna, che vede la Madonna già da anni, ave-va riferito le sue parole. Tutti coloro che erano là tra cui anche mia madre l’avevano vista, ognuno col proprio cuore. Mia madre tornò e tutto cambiò. Lei era cambiata. Piangendo, le domandai: “A che ti serve tutto questo?“, ma lei tranquillamente mi rispose: “Non a cosa, ma per che cosa!“ Una silenziosa e forte luce di pace e di amore discendeva su tutti quelli che, da allora in poi, la incontravano. Diceva: “Io là sono guarita“. Tutti notavamo quella guarigione interiore. Morì nove mesi dopo, esattamente nove mesi dopo. La morte mi ha portato a confrontarmi con la vita. Seppellimmo mamma il 31 dicembre. Faceva molto freddo, meno trenta gradi sotto zero. Nel villaggio natio di mia madre riuscii a trovare due ragazzi sobri, in grado di seppellirla. Passato il funerale, ero coricata a letto ed avevo molto sonno. Ricordo che, mezza addormentata, lessi un SMS di auguri per Capodanno – auguri di felicità, di gioia, di amore – e tutto mi sembrava così assurdo, ipocrita e falso. Gioire di cosa? E’ difficile spiegarlo: non mi serviva una qualche pseudo vacanza, un Capodanno da qualche parte, una nuova felicità. Io quella notte avevo seppellito mia mamma! Cosa può offrirci questo mondo? E come si può consolare una madre o un padre che hanno seppellito una figlia? O quattro figli, due dei quali divenuti orfani ancora minorenni? Voglio dire, indipendentemente dal fatto che non ero legata alla Chiesa, io non soltanto credevo, ma cominciavo anche a sentire a pelle che esistono cose che non si adatano alla vita sulla terra, ma non ho per nulla sviluppato questo dono. Il mio spiccato senso di giustizia e di verità si era un po’ perso. Assunsi la tutela di quello dei miei fratelli che aveva l’età media tra tutti noi, e lo portai a San Pietroburgo, perché vivesse dove io studiavo. Non mi accorgevo che la stessa compagnia da cui l’avevo sradicato e salvato, aveva iniziato a girargli intorno anche là... Lui, a dodici anni, se n’era andato di casa e guadagnava qualcosa suonando la chitarra nei passaggi sotterranei e negli scantinati. Aveva cominciato a stare con tossicodipendenti, fumava marijuana e non pensava affatto che fosse una droga. Il ricordo più toccante è di quando noi fantasticavamo insieme e gioivamo del fatto che avremmo vissuto come una famiglia in cui ci saremmo presi cura l’uno dell’altro, avremmo condiviso tutto quello che avevamo, saremmo stati insieme, insieme ci saremmo occupati di arte ed avremmo vissuto in pace: ma la pace non c’era. A volte mi rubava dei soldi... Vivemmo insieme per alcuni mesi. Io studiavo regia, e lui voleva diventare attore. Per me l’istruzione, la mia professione, era al primo posto. Ci avevano insegnato così: se l’arte non è al primo posto nella tua vita, allora sei un ma-novale. Ed io avevo messo al primo posto l’istruzione e me stessa. Avevo imparato bene. Una volta, tornando a casa, trovai mio fratello coricato vestito sul mio letto. Mi spaventai. Corsi in cortile dai vicini a chiamare il pronto soccorso. Mentre correvo, pensavo che ero disposta a dare la mia vita per lui. Stjopa, mio fratello, quella notte aveva provato l’eroina, una volta sola, ed era morto nel sonno. Aveva solo diciassette anni e cinque mesi. Prima di allora, pensavo che nella vita si dovesse provare tutto... e che non si creasse una dipendenza da una prova, ma mio fratello non aveva una dipendenza di cui soffrire per tutta la vita. Lui è morto subito. La morte mi ha portato a confrontarmi faccia a faccia con la vita. Ho dovuto riflettere: Come avrei dato a me stessa una risposta alle domande sulla morte, ossia sulla vita? Chi sono? E perché esisto? Trovai consolazione nell’alcol. Nell’alcol non trovavo risposte, ma in esso non c’erano più nemmeno le domande. Che cosa potranno mai fare dei giovani ad un festival cristiano?Una volta mi trovavo di passaggio a Mosca ed ho incontrato una conoscente di mia madre, che era stata con lei a Medjugorje e che faceva parte di un gruppo di preghiera. Saputo della morte di mia madre, lei aveva deciso di pagare un viaggio a Medjugorje ai figli di lei. Volevano aiutarci. I miei fratelli non poterono ottenere il passaporto, perciò venni a Medjugorje da sola. Detto sinceramente, pensavo: “Il viaggio è gratuito ed io non sono mai stata fuori dal paese“. Non sapevo neppure in che paese stessi andando. Arrivai durante il Festival dei giovani, che superò tutte le mie immagini sui credenti. Avevo partecipato anche in precedenza a diversi festival, ma mi era difficile immaginare cosa potessero fare dei giovani ad un festival cristiano. In un festival del cinema si possono vedere dei film, presentare un proprio lavoro, stare con dei colleghi davanti ad un goccetto, ma qui? La nostra cultura ci insegna a non mettere in vetrina i nostri valori spirituali, e quindi, come dire, ciò che è spirituale resta nascosto. Cosa si mostreranno a vicenda le persone in un festival del genere? E tutto questo a che scopo? Sentivo raccontare da alcuni giovani di diversi paesi come si erano convertiti a Dio, che pregavano e che an-che le cose più tragiche erano finite bene per loro... Io pensavo: “Cliché del genere sono adatti a scenari hollywoodiani”. Non sto dicendo che fosse così, ma che io li vivevo così. Non voglio offendere nessuno. A volte, per persone di culture differenti, è davvero molto difficile capirsi senza umorismo. E’ difficile per le persone capirsi le une con le altre in generale, ma è difficile soprattutto per gli ortodossi capire i cattolici! Scherzo. In generale vedevo tutto nero, mi sembrava che questo fosse un qualche progetto turistico, un luogo di riposo cristiano, una Disneyland per cattolici... Un ragazzo del nostro gruppo la pensava veramente così. Ricordo che cercava sempre qualcuno che lo fotografasse davanti ad una palma o presso la collina, per avere qualc-sa da mostrare agli amici al ritorno a casa. I suoi genitori si erano presi gioco di lui: aveva riconosciuto con me che gli avevano detto che quello sarebbe stato un viaggio turistico e non un pellegrinaggio. Quel poveretto aveva viaggiato tre giorni per arrivare qui e tre giorni per tornare a casa, per essere fotografato davanti a qualche palma! A parte gli scherzi, durante quel festival vidi ciò che era veramente essenziale per le persone che erano venute qui in modo cosciente: l’Eucaristia, la Comunione e l’Adorazione a Gesù, la preghiera, la Parola di Dio, il Vangelo. E la dignità in ogni cosa. Dipendente dal pensiero degli altri. Dopo l’incontro con una simile realtà, molte cose sono cambiate nella mia vita. Non di colpo, ma gradualmente. Tutto nella mia vita ha cominciato gradualmente a cambiare in modo drastico. Per due anni, sono venuta qui anche due o tre volte l’anno. Partecipavo a dei seminari. Quanto più qui mi innalzavo, tanto più cadevo in basso quando tornavo a casa. A casa avevo davanti degli scenari stereotipati di alcolismo. La dipendenza da alcol non ha un grande spettro di possibilità. Questo riguarda qualunque dipendenza. Io capivo di essere dipendente dal pensiero degli altri: dai successi ai festival e dai premi, dalle lodi dei miei amici, dalle attenzioni dei ragazzi, da ciò che le persone pensavano di me e dal fatto che pensassero a me o meno. Dopo aver incontrato qualcuno, io fantasticavo sempre consciamente su quello che quella persona avrebbe pensato di me, se mi avrebbe visto in questo o in quell’altro modo. Era come se un verme mi divorasse dal di dentro. E, quando bevevo dell’alcol, quel verme si ubriacava con me e gioiva, mi aiutava a sentirmi quella che ero: in realtà, mi creava un’illusione di felicità. Mi stavo dibattendo in un circolo, e pensavo che quello fosse il mio karma, il mio destino, la mia croce... ho pensato di tutto. Capivo che l’amore era la cosa più importante nella vita: ad ogni passo si parlava di questo. Tutti dicono: “Ama te stesso, sii felice di ciò che hai, ama il tuo prossimo, il tuo nemico – o peggio – la tua famiglia!“ Ama, ama, ama: ma come? Come amare, se i miei genitori si erano separati quando avevo due anni ed il mio patrigno picchiava sia me che i miei fratelli? Così egli ci ha insegnato a picchiarci gli uni gli altri, e poi ci ha abbandonato ed è andato nella terra promessa – in America. Come amare, se non avevo visto un esempio d’amore tra i miei genitori? Come amare se le persone a me più care, quelle che mi amavano, erano morte? Come potrò amare se non sono stata abituata a sacrificarmi per amore? Io cercavo un amore di tipo sentimentale, per il quale non si dovesse sacrificare nulla. Tuttavia, in qualche parte dell’anima, capivo che non era quello il vero amore, e che dovevo cercare qualcosa di più.
Natalia Beliaeva, Russia
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