martedì 18 giugno 2019

"Ho trovato la Chiesa a Medjugorje": pur essendo non vedente, è diventato sacerdote.

Parla don Rainer Herteis, sacerdote ipovedente: “A Medjugorje ho trovato la Chiesa”.

Il cappellano Rainer Herteis, nato nel 1975, pur essendo non vedente, è diventato sacerdote. E’ stato ordinato il 6 maggio 2006 nella Diocesi di Eichstätt, in Germania. La storia della sua vita e la sua vocazione sono strettamente legate a Medjugorje.

Sono nato ipovedente. Quando ero all’asilo, i medici accertarono che avevo una malattia agli occhi che la medicina non era in grado di curare. La conseguenza fu che, all’età di venticinque anni, vedevo a mala pena ancora solamente un po’ di luce.


Poiché i medici non mi davano molte speranze che sarei potuto tornare a vedere, feci la conoscenza di una donna che mi disse: “Pregherò per te“. Avevo circa quindici anni quando lei pregò per me per la prima volta.


Allora sentii un forte calore e fui convinto che lei poteva venire solo da Dio. Quella fu la mia prima esperienza del fatto che Dio è veramente vivo e che può esaudire le preghiere, che ci ama ed è qui per noi.
In quel periodo cominciai a cercare la guarigione. .. Ho sempre trovato qualcos’altro, mai la guarigione degli occhi, ma altri doni molto più grandi: l’amore di Dio Padre, lo Spirito Santo, il frutto della gioia in me.

Come ha ricevuto la vocazione sacerdotale?
Ho trovato la Chiesa a Medjugorje. Sono venuto per la prima volta nel 1991. Quel primo viaggio fu apparentamente infruttuoso.
Ma nel mio cuore era stato seminato un seme che è maturato sei anni più tardi… cioè nei giorni della festa di Pentecoste del 1997, quando venni a Medjugorje per la seconda volta, nuovamente col desiderio di una guarigione fisica, che è sempre stata la ragione delle mie ricerche.
Fu durante la Messa tedesca delle ore 9:00. Improvvisamente il mio cuore arse in senso spirituale. Ad un tratto mi innamorai dei Sacramenti della Chiesa! Ebbi improvvisamente anch’io il desiderio di stare davanti, di parlare di Gesù alle persone, di celebrare la Messa, e soprattutto di sedere nel confessionale e aiutare le persone a ritrovare la felicità e la pace.
Avevo finito il Liceo e conseguito la maturità nel 1996. Ciò si svolse in un modo discretamente normale, tranne il fatto che dovetti avere i testi degli esami scritti a caratteri più grandi e più tempo a disposizione per sostenerli.
In seguito ho studiato musica per tre anni. Già nel corso degli studi sentivo che quello non sarebbe stato il contenuto della mia vita. Nel 1997 avevo già percepito la vocazione nel cuore, e ho cominciato a studiare teologia nel 1999.

Il mio Vescovo mi disse: “Si richiede un cuore che arda per Gesù e per l’uomo: i limiti fisici nel mondo odierno possono essere compensati dalla tecnologia“. Mi incoraggiò.
Dal 1997 vengo a Medjugorje ogni anno e, tramite questi viaggi a Medjugorje, la mia vocazione è divenuta sempre più forte. In seminario ho incontrato molti che sono venuti e se ne sono andati. In me la vocazione era sempre più grande di giorno in giorno, e questo grazie alle mie regolari venute a Medjugorje.
Il cammino del ricercare una guarigione fisica e del trovare sempre qualcos’altro è im-
portante per tutti i cristiani: la nostra percezione di ciò che Dio dovrebbe fare per noi, spesso è un pochino distorta.

Il senso della malattia dei miei occhi è quello di crescere nella Chiesa Cattolica. A questo Dio mi voleva condurre. Un passo della Bibbia dice: “E’ meglio entrare nel Regno dei Cieli con un occhio solo, piuttosto che andare nella perdizione eterna con entrambi gli occhi“.
Gesù non mi ha dato la guarigione fisica. Voleva che scoprissi il mondo spirituale. Il desiderio della guarigione è ancora presente, ma ora il mio desiderio più profondo è che quante più anime possibili giungano al cammino di santità.
Prego per ricevere i doni dello Spirito, per poter aiutare molte anime su questa strada. La mia vita di preghiera è cambiata e, tramite la mia cecità, il mio occhio spirituale si è aperto.

Come può una persona accettare il proprio handicap come qualcosa di positivo, come una grazia di Dio?
Questo è possibile solo mediante un rapporto personale con Gesù Cristo. Durante un seminario, abbandonai ancora una volta in modo cosciente la mia vita nelle mani di Dio, dicendo: “O Gesù, sii tu il mio Signore! La mia vita appartiene a te, puoi fare di me ciò che ti piace!“
Poi altri pregarono per me, per un’effusione di Spirito Santo, e allora la gioia mi entrò nel cuore. In quel momento ho notato che la mia cecità, la mia croce, la mia sofferenza, mi teneva lontano da molte cose che mi allontanano da Dio.
Questo è possibile solo quando una persona dà un senso alla sofferenza, alla croce, all’handicap: queste realtà mi conducono a Dio, mi tengono lontano da molte cose, le posso offrire affinché molte anime arrivino alla fede.





Sì era sempre affermato che, per diventare sacerdote o religioso, un uomo doveva essere sano.
Dal 1984, nel Codice di Diritto Canonico, abbiamo un canone che afferma chon vedenti possono ricevere l’ordinazione sacerdotale. Essi hanno diritto a un’assistenza all’Altare.
Il mio Vescovo si è appoggiato alla propria esperienza, ai portatori di handicap che ha conosciuto e che stanno lavorando molto bene per il Regno di Dio. Si è anche appoggiato all’esempio di Giovanni Paolo II.
Celebro Messa con l’aiuto di un piccolo magnetofono, che porto al collo. Registro in precedenza su nastro i testi della Messa, che ho su un computer che è in grado di leggere ad alta voce. La Santa Messa richiede una preparazione intensiva.
Quello è per me un tempo di preghiera, spesso vengo toccato e ispirato nel profondo dell’anima. Ho accanto a me un diacono fisso che mi aiuta.

Come si può accettare l’aiuto di un’altra persona, il fatto di essere sempre rivolti all’aiuto altrui?
Questo richiede anzitutto un passo: trovare la libertà nella fede, nel mondo spirituale. Lì sono totalmente libero. Quando vengo indirizzato a qualcuno che deve venire a prendermi, ed egli mi lascia aspettare, allora quel tempo per me non viene riempito di noia, ma di preghiera, oppure lo uso per preparare un’omelia.
Bisogna imparare ed essere umili: Da un sacerdote; fedeli si aspettano che amministri loro i Sacramenti; così da avere qualcosa per la propria vita. Che egli operi autenticamente, che viva la fede, che parli in modo che loro possano comprenderlo e che abbia una vera vita di preghiera.
ho bisogno di aiuto. E questo è importante in senso spirituale. E’ umiliante, ma io lo offro: “Signore, te lo offro per ottenere santi sacerdoti“, o qualcosa del genere.
Disponibilità ad offrire, disponibilità a diventare umili, libertà di spirito e consapevolezza che la preghiera è sempre possibile. Capacità di accettare la completa assenza d’aiuto… Noi tutti, in realtà, dipendiamo da Dio.

In quanto sacerdote, lei è chiamato alla paternità spirituale. Come trova la forza per questo nella sua relativa dipendenza?
Vivendo nella fede e vivendo ciò che dico. Ascoltare attentamente, dare un consiglio… lo chiedo allo Spirito Santo. Spesso alle persone che vengono da me a confessarsi o per un colloquio, fa piacere che io non le veda!
Ciò rappresenta per le persone una determinata protezione. Notano che so ascoltare e che li aiuto per mezzo dello Spirito Santo. Dicono: “Questo sacerdote ha un collegamento diretto col Cielo!“ Da un sacerdote, i fedeli si aspettano che amministri loro i Sacramenti, così da avere qualcosa per la propria vita.
Che egli operi autenticamente, che viva la fede, che parli in modo che loro possano comprenderlo e che abbia una vera vita di preghiera. Un sacerdote che prega il Rosario non andrà perduto.
E’ un bene anche quando un sacerdote riconosce i propri doni e talenti, e quando li vive nello Spirito Santo. Allora croci ed handicap non sono neanche così pesanti.
Intervista a cura di Lidija Paris.

 

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