Sono le 4,30 ed è la mattina del 2 aprile. Mattina presto, dunque.
Doveva essere più o meno quella l’ora in cui le donne di cui parlano le
pagine dei vangeli andarono presso il giardino dove era stato deposto il
corpo di Gesù. E’ un’ora in cui il buio prevale, ma già percepisci che
non durerà molto. La luce che ancora non avverti già estende la sua
potenza. Ciò che viene avvolto dall’oscuro, inghiottendo tutte le cose,
comincia a svelarsi. Mi stupisco come un bambino. Il buio
non esiste. E’ solo assenza di luce. E quando la luce affiora, il buio
restituisce la realtà. Succede così anche quando un velo di tenebra
copre le circostanze della vita. Si vede solo nero. Succede. E ci prende
paura. Non si è più capaci di vedere. Occorre ricordarsi che la realtà
c’è e la luce che la illumina pure. Scendo dalla mia stanza d’albergo,
consegno la chiave sotto la moderna forma di un badge (siccome da anni
frequento alberghi, case d’accoglienza e ritiri..ho imparato che è il
più facile e innocente dei furti è…trattenersi la chiave della camera),
appoggio le valigie nella hall e mi guardo attorno. E’ la mattina della
partenza. Sono stati giorni di grande pace, perfino di riposo. Non c’è
nessuno. Fuori c’è una persona che fuma. La porta scorrevole si apre
automaticamente dandomi quell’illusoria potenza di esserne l’artefice.
Luciana sta fumando serenamente. “Buon giorno, non c’è nessuno?”,
domando. “Salve, la colazione è alle 5”. Capisco che ho sbagliato
orario. Pensavo che le 5 fosse l’ora della partenza. Fa freddo. A
quell’ora, alle 4,30 del mattino, fa freddo. Le donne dei Vangeli non
solo camminarono al buio per raggiungere il sepolcro, ma l’aria a
quell’ora della notte doveva essere fresca. Chissà quali scialli avevano
addosso? Rientro. Con un saluto silenzioso mi congedo da Luciana
lasciandola ai pensieri che una sigaretta sa generare e con un colpo di
mano, come di chi è padrone di aprire e chiudere le porte, non solo
dell’albergo, sosto dinanzi alla vetrata. Non si muove. La mia autorità è
vana. La mia forza è immaginaria. La mia vanità si sgonfia nonostante
volteggi con le mani e mi avvicini sempre più verso il vetro fino ad
arrivarci contro. L’orgoglio un po’ bambino di essere capace con un
colpo di direttore d’orchestra di spalancare una porta di vetro si
smorza. Occorre il badge. La porta non scorre. Si può uscire, ma non si
può più entrare fino a quando l’albergo sarà pienamente in funzione.
Sorrido. Ho sbagliato orario, non c’è nessuno e sono infreddolito. Mi
dirigo verso il sepolcro.
Come le donne di quelle pagine
conclusive dei quattro Vangeli. A Medjugorie, c’è una scultura in
bronzo, enorme. Non bellissima a dir la verità, ma suggestiva. Si tratta
di un Crocifisso che risorge dal sepolcro della propria croce. E’ un
Cristo enorme. E’ un Cristo Crocifisso e vincente. E’ un Cristo
Crocifisso e accogliente. Quando ci arrivi davanti due braccia possenti
ti avvolgono. E’ buio e fresco come può esserlo a quell’ora. C’è
silenzio. Davanti a quel Cristo c’è sempre silenzio. Che ci siano
centinaia di persone come accade di giorno o qualche decina come avviene
la sera (giusto la sera precedente un gruppo di trenta giovani è
entrato in questo anfiteatro dove sorge imperioso il Cristo dal
sepolcro…li ho osservati…la loro compostezza, il loro raccoglimento, la
loro devozione ha parlato di Dio). C’è silenzio. Un silenzio pieno di
affetto. Normalmente, dinanzi a quell’immensa scultura la gente sosta
davanti, in ginocchio ai suoi piedi, ma più ancora accanto, al lato
destro. Dall’altezza del ginocchio destro, escono gocce di acqua.
Qualcuno dice miracolosamente. Uno dei tanti fatti soprannaturali che
accadono da queste parti come le apparizioni della Madonna che avvengono
ancora oggi dopo trentacinqueanni da quel lontano 25 giugno 1981, come
il volteggio del sole che anche a me è capitato di assistere… Mi ricorda
qualcosa. C’è una pagina della Scrittura in cui si parla del lato
destro del Tempio da cui scorre un rivolo d’acqua che pian piano diventa
impetuoso. Un piccolo fiumicello si trasforma in un torrente impetuoso.
Tutto ciò che viene bagnato da quelle acque rifiorisce. Nei Vangeli,
Gesù dice che il suo corpo è il nuovo Tempio dal cui lato destro scorre
una sorgente di acqua viva. Mi viene in mente anche il crocifisso di
Guelfo è trafitto dalla parte destra. Beh, comunque sia, senza farsi
neppure troppe domande un piccolissima goccia affiora sul ginocchio e
comincia a scendere come fosse una lacrima. E’ commovente vedere le
persone salire su di un piccolo gradino per toccare, accarezzare,
imbevere alcuni fazzoletti bianchi di quel misterioso liquido…E’ un
gesto carico di sentimento. Ricorda quanto una donna, una prostituta,
fece ai piedi di Gesù durante una cena. Si accucciò ai suoi piedi
bagnandoli con le sue lacrime, asciugandoli poi con i suoi capelli. C’è
una tenerezza nel gesto di quella donna di cui abbiamo perso traccia nel
nostro cristianesimo troppo razionale, troppo logico, compassato dentro
schemi liturgici da un lato e da una religiosità priva di emozione e di
passione. La gente a Medjugorie, così come in altri luoghi, ti
costringe a riscoprire il rapporto con Cristo secondo un alfabeto di
gesti e segni che sono come lettere di una lingua antica e nuova. Sì,
antica perché si tratta di gestualità che appartengono da sempre alla
tradizione cattolica. Eppure nuova perché sono per lo più azioni
smarrite e inusuali. Abbiamo conservato specie nei giorni della
Settimana Santa alcuni segni come il bacio della croce, il decoro dei
cosiddetti “sepolcri” del giovedì santo, la lavanda dei piedi,
l’accensione delle luci nella Liturgia pasquale… Qui, a Medjugorie, il
santo popolo di Dio riscopre a parlare i gesti degli innamorati. Mi
riferisco a ricevere la Santa Comunione in ginocchio, con la lingua
piuttosto che con le mani, a tenere le mani giunte, a parlare attraverso
il silenzio (quanto silenzio in questi giorni in mezzo a centinaia di
persone da Vicka, una delle presente veggenti o in cima al Pdbordo), a
camminare a piedi scalzi e nudi su rocce aguzze, ad inginocchiarsi per
la benedizione di un sacerdote, a baciare le sue mani fino alle carezze
per raccogliere gocce che sembrano lacrime che scendono dal ginocchio
del Cristo Crocifisso e Risorto. Durante il giorno, un serpentone
silenzioso si costituisce attorno a questo anfiteatro per toccare il
Cristo. Si accarezza la gamba del Risorto come a consolarlo e ad esserne
consolati. La si abbraccia. La si bacia. Se ne raccoglie questa
lacrimazione. E’ una goccia che attrae. Quando arrivo sono solo. Tutta
la lacrima del Cristo è per me. Questa è acqua che rigenera, che dà
vita. Acqua che battezza. Non so se piange lui o piango io. Le lacrime
si confondono. Sono grato per quest’improvvisa e non programmata sosta.
Quante volte ci si sbaglia come mi sono confuso io nell’orario di
partenza e si arriva puntuali all’appuntamento con Dio. Pudico come sono
forse non mi sarei lasciato andare ad effusioni da innamorato, ma
siccome non c’è nessuno afferro il Cristo e gli chiedo mi faccia uscire
dal mio sepolcro. E poi, gli affido il resto dei pellegrini e quei
pellegrini che sono a casa, pellegrini sulle strade feroci della vita in
cerca di un di più, mendicanti di un senso, questuanti qualcuno che
raccolga il proprio pianto. E’ il regalo più bello di questi giorni.
Inaspettato e delicatissimo.
Quando rientro in albergo tutti sono già nella sala colazione. Le
donne di quelle pagine che prendono il nome di Vangelo dopo aver visto
il sepolcro vuoto e incontrato il Signore rientrano a casa in fretta.
C’è più luce che buio. E raccontano, annunciano, parlano come sanno fare
le donne. Io rimango in silenzio. Faccio colazione e mi preparo a
partire. In fondo, è solo da poco che sono risorto anch’io.
Fonte:https://parcastelguelfo.wordpress.com/2016/04/05/medjugorie-2016-le-lacrime-per-regalo/
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