Bosnia-Erzegovina: la Medjugorje semplice
Come sempre affrontare un’esperienza e viverla di persona ti permette di semplificarla e tutti i timori che avevo prima di partire per Medjugorje si sono dissolti, così in un batter d’occhio. Non sapevo bene se e come ne avrei parlato, pensavo fosse difficile, che si innescassero tematiche spirituali lontane da questo blog e il mio stesso modo di pormi di fronte alla fede, cosa di scarsissimo interesse per gli altri. E invece di questo luogo si parla molto e lo si conosce troppo poco, soprattutto nella fascia di lettori di blog.La cosa migliore è partire e passarci almeno due giorni pieni, darsi tempo per visitare le tappe classiche e viverle senza fretta, ma anche qualche realtà al contorno, ascoltare le persone che ci vivono da anni, non fermarsi al primo impatto che può essere fuorviante, non andare a Medjugorje il 2 del mese per il veggente di turno che ha l’apparizione (per chi crede) pensando di portare a casa chissà quali rivelazioni. Io per scelta, anche se avrei potuto, non l’ho fatto.
Il nostro (no, non è pluralia maiestatis è che io viaggio quasi sempre con la mia famiglia) non è stato un pellegrinaggio puro. L’obiettivo del viaggio sì era raggiungere Medjugorje in Bosnia, dormire in location abbastanza spartane, capire qualcosa in più di questo luogo di fede e perché no di noi stessi. Ma appena arrivi, dopo km di autostrada croata modernissima fin dopo Spalato e dopo km di statale bosniaca in mezzo a una natura montagnosa, scabra e graffiante, verdissima, Medjugorje appare un po’ come una “cattedrale nel deserto”. E vi spiego il perché.
In mezzo al niente, a pascoli e coltivazioni e pochi edifici costruiti ma spesso senza intonaco e finiture, di botto vedi spuntar fuori alberghi di ogni tipo (4 stelle inclusi), aziendine, rivenditori di auto, supermercati di ultima generazione, ristoranti, negozi e più ti avvicini al centro del paese più quell’idea di spiritualità che avevi in testa si allontana colla coda tra le gambe. Il sacro diventa commerciale, la mercanzia qui è a tema, croci, rosari e madonnine di tutti i colori e dimensioni, il turismo e il benessere negli ultimi anni hanno stravolto la realtà.
Mettici anche che, appena accostata la macchina e scesi 10 min contati, torniamo e il poliziotto bosniaco prende il passaporto di mio marito e ci sveltola una multa (il passaporto te lo ridanno solo dopo il pagamento), casualmente solo agli stranieri e ai croati. Ecco, l’impressione iniziale non è stata affatto buona. E il rischio è che se uno viene a Medjugorjie per una visitina veloce veda solo questo…e scappi via!!!
Per fortuna la Sobe-Guesthouse che abbiamo scelto è completamente fuori dal paese (scelta col senno di poi azzeccatissima), dalla finestra solo verde e vigne, dentro semplici e spartane, ci riconciliano con quanto visto prima. Si parte per il Podbrdo, il colle dove nel 1981 la Madonna è apparsa a 6 bambini, che sono diventati i veggenti e che ricevono tuttora messaggi di pace, fede, amore, conversione, preghiera e digiuno.
Immaginate una collina intera fatta di sassi, solo sassi spigolosi e scomodi. Sassi da percorrere, da salire, sassi che ti fanno perdere l’equilibrio, che ti fanno concentrare, così tanti sassi che non sai bene come ne scenderai (tantomeno tua figlia di 6 anni). Tanti hanno le scarpe, tanti si armano di bastoni per aiutarsi, ma tanti giovani o anziani scelgono di salire questa montagna di sassi a piedi nudi. E vederli mette i brividi. La notte è piovuto, la terra è diventata fango, sotto i piedi è aguzzo o scivoloso, nulla è agevole.
All’improvviso le bancarelle, le madonnine, il commercio di prima sembrano lontanissimi. Questa collina è il contrario. E’ la fatica, il sacrificio, un luogo inospitale per eccellenza. La gente sale in silenzio, senza nessun fanatismo, solo con grande rispetto. Si ferma alle stazioni di preghiera se vuole, non ho sentito un solo lamento neppure da parte di chi saliva scalzo e avrebbe avuto motivo di farlo. Ho visto famiglie con bambini venute da lontano, ho visto anziani accelerare il passo, l’aria che si respira qui è diversa. Puoi credere o non credere ma il Podbrdo non lascia indifferenti.
L’energia particolare di questo posto, l’energia buona la senti eccome. Al di là di ogni credo. Come una specie di filigrana che ti arriva e ti spiazza. E inizio a capire perché tanti ritornano. Ci fermiamo a lungo in cima in questa quiete assoluta, ad ascoltare ed ascoltarci. E’ bello, un luogo così inospitale eppure lo scopro così accogliente Pregare non è obbligatorio, pregare a Medjugorje viene spontaneo. Ognuno ha i suoi motivi e i suoi perché e qui mi fermo, noi avevamo i nostri e come tali devono restare.
La domenica c’è sempre molta più gente, scegliamo la messa all’aperto del Lunedì, alle 11.00 c’è in italiano. Un grande emiciclo di panchine sotto un cielo azzurro e un discreto vento (nonostante le previsioni pessime), tantissimi canti e la sensazione di una spiritualità profonda, non recitata. A seguire, a breve distanza dalla chiesa di S.Giacomo, la statua del Cristo Risorto in bronzo con le sue grandi braccia ad accogliere ogni pellegrino.
Dalle sue ginocchia escono le “lacrime”, sembra acqua ma non lo è, e gli studi fatti non ne spiegano la natura e la quantità prodotta. Si dice che “si venga chiamati a Medjugorjie per asciugare le lacrime di Cristo, e mentre asciughiamo le sue, Lui asciugherà le nostre”. La fila di pellegrini, fazzoletti alla mano, per asciugarle e chiedere benedizioni o grazie è lunga. Mi fermo a osservarla, dalle famiglie intere, ai pellegrini di passaggio, ai malati seri, ognuno attende rispettoso il suo turno, ognuno ha il suo momento di preghiera, di ringraziamento, di richiesta. Ognuno è libero di crederci o no. Ma chi ha fede non cerca prove, e qui è evidente.
La terza tappa è il Krizevac, il monte della Croce, dove sono avvenute altri segni e dove la salita è ancora più faticosa. Un sentiero ostico che di per sé materializza il percorso della croce. L’unica variante ai sassi su cui inerpicarsi sono i pannelli in bronzo della via Crucis…no, non pensate di venire a Medjugorje a fare i pellegrini comodi. Qui di comodo non c’è nulla, a parte le bancarelle e il mercatone della via principale. Ma quella è solo la parte più umana e consumistica di questo luogo.
Fabio che ha fatto 15 pellegrinaggi qui e ha poi deciso di lasciare il suo paese per venire a viverci ci racconta che fino al 2007-2008 a Medjugorjie c’era ben poco, solo negli ultimi anni è arrivato il turismo di massa e tutto il “commerciale” conseguente. Prima la gente bosniaca era capace di accoglierti a dormire in casa sua. Ci spiega che dove è forte il bene è facile che si insinui altrettanto forte il male. Le sue vicissitudini, le mille difficoltà, le contraddizioni e i lati negativi della vita in Bosnia-Erzegovina. Per trasferirsi qui ci vuole davvero una motivazione interiore immensa.
Dragan e Maja, entrambi di Sarajevo, durante la guerra hanno deciso di scappare con i loro figli e ricominciare tutto da zero qui, hanno costruito una guest-house accogliente che gestiscono con professionalità e con amore (se vi serve contattatemi che vi do una dritta) e ci raccontano che tantissima gente del paese e dei dintorni vive e lavora grazie al turismo, che la zona di Medjugorjie fa da traino per il resto del paese, e che di sicuro la realtà rurale del paese è stata stravolta negli ultimi anni, ma per loro significa sopravvivenza, lavoro, benessere. E soprattutto vivere in pace, lontano dai ricordi della guerra.
E infine suor Kornelia, fondatrice insieme a suor Josipa, dell’Orfanotrofio Obiteljski Centar Ivan Pavao II (Casa Famiglia Giovanni Paolo II) che aiuta persone ferite dalla vita, in primis bambini orfani di guerra. “Qui durante il conflitto mancava tutto. Eppure quello che serviva è sempre arrivato. La brutalità della guerra in Bosnia-Erzegovina mi ha spinto ad aiutare i più disastrati. Prima di tutto la famiglia, quella ferita, la cellula basilare della nostra società. Non abbiamo niente, ogni giorno ci viene donato molto, e tutto quello che riceviamo lo doniamo. A loro, ai bambini, agli orfani, ai più bisognosi.” Eppure questa piccola suora dei Balcani da sola sfama più di duecento bocche.
Ed è così, con gli occhi intelligenti di quei bambini che mi piace ricordare Medjugorje, quella Medjugorje che mi ha rasserenato, un po’ spiazzato e ci ha saputo trasmettere qualcosa di buono. Chiamatelo fede, amore, pace, interiorità, semplicità, come volete voi. Il nome è poco importante.
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Ps.
Ripeto, le mie sono valutazioni personali, senza nessuna velleità; per
esprimere una qualunque opinione su Medjugorje, però, prima andateci e
poi raccontatemi le vostre, magari diversissime Fonte:http://allaricercadishambala.it/medjugorje-semplice/
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