A Medjugorie il sole era impazzito
Erano passati pochi mesi dal più grave incidente che mi fosse capitato, ancora convalescente in quel 2008, io e mia moglie fummo invitati da un gruppo di preghiera in pellegrinaggio a Medjugorie. Mi reggevo solo con stampelle. In quelle condizioni il viaggio in pullman fu estenuante, quelle 16 ore parvero giorni, ma tra barzellette, canti, e preghiere si arrivò. Non fu certo idilliaco l’ingresso a Medjugorie, Mi pareva d’essere arrivato in una cittadina marittima adriatica, negozi e bancarelle a destra e sinistra, un mercanteggiare di immagini sacre, di statuine, souvenir, era normale, mi dissi, quella povera gente ci viveva, e in un certo qual modo la Madonna in questo ha aiutato anche loro. La gente si accalcava per le strade come formiche laboriose e affamate di santità, in cerca di quella verità che davano già per scontata prima di partire, io ero uno di loro, cercando solo di rimanere con un piede nella realtà, per non sconfinare nell’esaltazione che detesto. Un bel giardino con un bellissimo Cristo si ergeva imponente e sofferente, all’altezza del ginocchio, una piaga, una ferita che lacrimava sempre, in continuazione, senza smettere mai, una goccia oleosa che scendeva incessante. Che tu incredulo, puoi pensare a tutti i meccanismi del mondo, ma non te lo sai spiegare se non interviene la fede. Ad un centinaio di metri circa un enorme piazzale circolare con panchine, pochi gradini e un palco enorme, dove una ventina di sacerdoti confessavano. Non scorderò mai l’amarezza e l’umiliazione che provai quando rifiutarono la mia confessione perché divorziato. A nulla valse il timido e imbarazzante tentativo di spiegare che la mia coscienza era apposto, fui liquidato con una medaglietta della Madonna di Medjugorie che ancora conservo. Che bello se Papa Francesco avesse già pronunziato le storiche parole… Chi sono Io per giudicare gay e divorziati!! La sera cena in compagnia, Rosario davanti al grande Cristo, e a nanna, che il mattino la sveglia era alle sei. Il giorno dopo Monstar, erano ben visibili i segni di una guerra appena passata, colpi di mitragliatori e mortai a centinaia sulle facciate delle case dei palazzi delle scuole e perfino degli ospedali. Di colpo era come vedere i telegiornali di una decina d’anni prima, quelli che a cena, tra un piatto e l’altro ti facevano dire… Povera gente e finiva li, cambiavi canale, perché in fondo non ti riguardava, perché tanto succedeva ad altri, e poi è tutto tanto lontano! Sul posto ti rendi conto che non era lontano, era solo a poche ore di strada da te, dalla tua cucina dove mangiavi tranquillamente, mentre la gente moriva, di mitra e di fame, li proprio fuori casa tua. Ma attraversiamo il ponte stretto dove si divide il territorio tra Cristiani e Mussulmani. Il prete che ci accompagnava in abiti borghesi, ci invitò a spogliare catenine e croci, e a me sembrò un’esagerazione, ma non la pensai così appena giunti dalla parte opposta, sguardi palesemente ostili ci seguivano costantemente, e fu un sollievo quando solo un’ora dopo decidemmo di andarcene. Ma io ero lì per la camminata sul colle di Maria, il krizevac, che per me, fu lì che Lei apparve. Su quel colle la gente cambia, si trasforma, entra in un’aurea di misticismo, tutti sono estasiati, illuminati. Cominci a percorrere quel sentiero costellato da varie stazioni come la via Crucis, e preghi, e ti senti con tutti, e tutti si sentono con te. Qualcuno piange di gioia, qualcun altro piange di disperazione implorando chissà quale grazia, che poi le grazie son tutte uguali, son tutte di disperazione e di pietà.
E’ stato forse uno dei luoghi in cui ho sentito di più la gente
“vera”, non bigotta, sincera, non falsa e ipocrita, umile, non esaltata.
Quel mattino abbandonai le stampelle e con Maria Rosa salimmo scalzi, e
se per le prime centinaia di metri sarebbe comune a tutti, vi assicuro
che arrivare all’ultimo chilometro è davvero dura. Per poi
inginocchiarsi per percorrere una ripida scalinata di altre centinaia di
gradini per raggiungere così la grande croce, che si erge imponente
come a gratificarti del tuo sacrificio. Il giorno dopo sveglia alle
quattro, perché era il due di settembre, e come ogni due del mese la
Madonna appare a Miriam, ultima veggente rimasta. Un capannone enorme
con ampie balconate, e centinaia di sedie, faceva da sala-chiesa di
ricevimento per il grandioso evento. Alle sei di mattina si era
praticamente tutti assiepati, ammassati in un frastornante chiacchierio.
Altre centinaia di persone si erano accomodate nel giardino adiacente
l’edificio, e “seguivano” l’Apparizione dell’Immacolata su schermi
giganti. Noi invece si era lì su di una balconata, nemmeno troppo
lontana, poche decine di metri, 8.30, il vociare frastornante si fa voce
grossa di stupore, fa il suo ingresso Miriam la Veggente. Si rivolge
con un sorriso a noi, al pubblico, e da quegli occhi azzurri di chi ha
sofferto la guerra, sembra salutare con tenerezza uno per uno tutti noi.
Delle persone addette alla sicurezza aiutano Miriam ad avvicinarsi
all’altare e lì inizia a pregare inginocchiata. Sono le nove quando
Miriam da una posizione statica, si raddrizza, il suo viso si illumina e
i suoi occhi si sgranano, per poco dopo lasciar scendere vere copiose
lacrime di gioia, Maria era li. Il silenzio poteva essere tagliato a
fette tanto era sepolcrale, tanto era riverente, ogni tanto un rumore…
Qualcuno sveniva, qualcun altro singhiozzava, altri ancora piangevano a
dirotto con lamenti strazianti, ognuno a modo suo mostrava o nascondeva
gelosamente la propria emozione. Un quarto d’ora dopo Miriam si metteva
le mani sul viso come a riprendersi da uno stato di trans, e faceva il
suo ultimo segno della croce per poi lentamente rialzarsi tra il vociare
che ora aveva ripreso a pieno ritmo. Tutto era finito, la Madonna era
apparsa come sempre puntuale per il suo messaggio d’amore. Ci
accompagnarono in una abitazione li vicino, dove abitava un’altra
veggente e in una camera da letto c’era una croce alta circa due metri
dipinta sulla bianca e nuda parete. Cosa aveva di straordinario? Nulla,
se non per il fatto che la croce era grondante di sangue fresco che
sostituiva i colori che davano forma alla croce stessa. Il mattino che
segue partiamo, e ce ne torniamo al paesello, dopo un’ora circa di
viaggio, d’improvviso una signora con noi grida qualcosa e indica con il
dito fuori dal finestrino, tutti guardiamo nella direzione indicata,
lassù nel cielo, il sole come impazzito cominciò a roteare, facendo dei
cerchi prima in senso orario, poi anti orario, mandando nel contempo
lampi accecanti diversi tra loro. Non sono tornato esaltato, ma sono
tornato diverso. L’amore guarda non con gli occhi ma con l’anima.
del 06/06/14
Fonte:http://www.araberara.it/editoriali/annibale.carlessi.php?id_pag=1&id_n=11
Nessun commento:
Posta un commento